Recensione: Il libro delle verità nascoste – Amy Gail Hansen 

Ho conosciuto Virginia Woolf l’anno scorso, in un torrido pomeriggio di fine luglio, precisamente quando di questa scrittrice sapevo poco e niente. L’anno scorso ero ancora alle prime armi con i classici e divoravo romanzi come se fossero Nutella tappando innumerevoli buchi e facendo un po’ di tutto affinché la mia anima sognatrice e romantica non risentisse del tedio o della monotonia che sopraggiungevano solitamente in questi ultimi mesi d’estate. In quel periodo Una stanza tutta per sé, mediante una serie di gesti agitati che vietavano la compiacenza, mi aveva inondato i sensi di una felicità imprecisata, che aveva avuto fama di farmi vedere la Woolf sotto un’altra ottica, giovane donna che aveva volto le spalle ai paradigmi del secolo. Anche Alda Merini, Sylvia Plath e molte altre si erano affacciate nel panorama letterario mostrando una faccia diversa dalle altre. E quando queste opere venivano riconosciute per ciò che effettivamente erano, un atto di ribellione anticonformista in cui ci si lascia completamente andare ad istinti, passioni che si pensava non potessero avere, si giungeva alla ricerca costante di ogni forma di verità.

Io ho creduto a questo e a molto altro fra le pagine di Il libro delle verità nascoste. Ne ho scorto la faccia, la figura, carpito segreti di una donna che aveva fatto della letteratura massima di vita. Ma quelli erano altri tempi, quando le penne che vergavano di rosso pagine e pagine di opere autobiografiche o nettamente realistiche lo facevano con grazia. Il fatto è che per più di qualche minuto, durante il corso della lettura, mi è sembrato di toccare questi testi quando bisognava fare spazio alle brutali vicende che avevano popolato le notti miti di una giovane studentessa inglese o alla sua innocente e infantile storia d’amore con il bello di turno; un professore di letteratura inglese. Una mattina che Ruby era venuta in università a presentare la sua tesi di laurea a incassare un pessimo voto dopo tanto lavoro, mi si avvicinò. Credevo che fosse una studentessa come tante altre, ma si limitò a farmi “vedere” il film nefasto della sua vita, a invitarmi a guardarlo come se io la conoscessi da tempo e ringraziarmi del fatto che io avessi deciso di condividere questa storia con lei e non un’altra ad impicciarsi delle sue cose quando non ci sarebbe stata altra scelta. Ruby era piuttosto ingenua, non c’è che dire, e dovevo stare molto attenta a dove mi avrebbe condotta.

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Recensione: L’ospite – Stephenie Meyer 

L’ospite mi ricordò una vecchissima amica. Era nata qui, nella soleggiata città di Messina, in una famiglia comune e ben educata, divenuta libera e intraprendente e aveva giocato un ruolo importante nello sviluppo di una delle sue più grandi passioni: la lettura. Io e questa entità siamo molto simili. Praticamente uguali. Entrambi cittadini della Sicilia, con la stessa prorompente passione, ed il nostro legame è rimasto saldo attraverso gli anni. Se dò uno sguardo al passato la vedo ancora lì, ai bordi dell’anima di un ciclo di vita usuale ma insoddisfacente, in cerca di qualcosa che possa aggiustarsi e tornare al suo posto.

In un sabato pomeriggio di metà Agosto mi mandò a prendere da una navicella conosciuta che attraversò lo spazio, varcò i muri invalicabili e insormontabili del mio palazzo, finché planò nel mio cuore – lo si vedeva bene – un po’ sanguinante e ancora ferito – che qualcuno aveva cercato di salvare e di conservare nel palmo della sua fulgida mano, mentre il resto del mondo avanzava verso un muro di distruzione, provinciale eleganza che mi aveva << trasportata >>. In questa piccola ma straordinaria cabina, bianchissima e luminosa su una vasto tappeto di stelle, mi aveva riportato allo splendore natio di un opera che aveva infervorato il mio animo qualche anno fa; Melanie o Wanda, come la si voglia chiamare, mi aveva riportato nella <<giusta via >>, quasi avesse divelto una tenebra e fatto trapelare una certa luce: un amica, una confidente che per qualche giorno aveva custodito la mia anima.

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Recensione: Tutta colpa di un libro – Shelly King

Ho pregustato la gioia di partire su un vascello, il senso di libertà che mi avrebbe messo addosso questo nuovo viaggio; e puntualmente fui ricompensata. La libreria di Dragonfly di Mountain View non era esattamente quel genere di libreria che mi ero immaginata; era una creatura romantica che mi ha sedotto con i suoi straordinari articoli e spezzato il cuore con i suoi problemi. Tutti i grandi lettori sognano di possederne una. Pensano che trascorrere le giornate in mezzo ai libri potrebbe essere la piena realizzazione di una passione alimentata nel tempo. E per qualche giorno il mio traghetto è stato questo piccolo negozio accatastato di carta e parole; strapieno, profumato, silenzioso estremamente misterioso purché io potessi godermi ogni singolo istante fra le sue vecchie mura.
Dopo qualche ora del mio viaggio nella soleggiata California non mi importava più di nulla. La libreria Dragonfly era divenuta ai miei occhi un paradiso tropicale, o meglio la copia di un paradiso tropicale. Gli scaffali, color corteccia e strapieni di libri, erano stati disposti in sezioni, i tavolini erano stati posti al centro affinché qualche lettore potesse decantare comodamente l’ennesima opera del suo autore preferito. Un enorme accozzaglia di dettagli per dare a questa piccola libreria del centro un aspetto migliore di quel che sembra.
In pochi minuti sono stata fuori dai confini della Sicilia, e di librerie così belle e capienti, con lunghi scaffali in mogano, ne avevo viste davvero poche, solo che sino a oggi di opportunità ce ne sono state poche.
In questa libreria io ero l’unica straniera. A parte qualche lettore di passaggio, i lettori abituali di questo posto erano lettori incalliti che tornavano da una visita nella capitale, e, facendo qui sosta, cercavano quel compagno di viaggio che facesse al caso loro. Ero riuscita quella mattina di lunedì, prima di ferragosto, ed ero estremamente compiaciuta e gongolante.
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